di Simone Nardone
Dalle nostre parti ormai non si parla che di elezioni amministrative, di candidati sindaco e di leader nazionali che vengono a scuotere la campagna elettorale.
La verità è che il 20-21 settembre al voto ci va tutta l’Italia e dire che i Referendum sono di scarso interesse, oltre che essere stupido, è profondamente deleterio per il bene stesso della democrazia repubblicana in cui viviamo.
Tra l’altro, questo referendum sul taglio dei parlamentari, è di tipo confermativo (o erroneamente definito “costituzionale”) quindi non necessita di quorum; davvero vogliamo lasciare che in pochi decidano le sorti istituzionali del nostro futuro? Oggi, come tante volte nel recente passato, si arriva ad un referendum per modificare la Costituzione nella sua parte più controversa, quella relativa all’assetto dei poteri. Poteri che non cambiano, come non cambiano le funzioni del Parlamento qualora passi la riforma. Ma allora cosa succede? Perché è così importante?
Semplice, perché si va a discutere di efficienza e rappresentanza dell’organo principe della nostra Repubblica: il Parlamento.
Oggi, come tutti dovremmo ben sapere, ad ogni tornata delle elezioni Politiche, andiamo ad eleggere 630 deputati e 315 senatori, contribuendo indirettamente (ricordarlo non fa mai male) alla formazione di una maggioranza parlamentare che darà vita alla formazione di un governo.
I numeri sono al centro del dibattito politico, e del quesito referendario, poiché il “Sì” comporterebbe una modifica alla Costituzione che farebbe scendere il numero di deputati a 400 e quello dei senatori a 200. Il “No”, di contro, lascerebbe invariate le cifre a 630 e 315. Contestualmente, con la vittoria dei Sì, verrebbero ridotti anche il numero dei rappresentanti delle circoscrizioni Estero: i deputati passerebbero da 12 a 8 e i senatori da 6 a 4.
Tuttavia la politica, come anche le istituzioni, non può essere considerata solo in termini analitici e numerici. Per comprendere a fondo, senza interferenze politiche o di parte – al netto dei soliti e non sempre corretti ragionamenti di combinati disposti tra Costituzione e legge elettorale – si deve ragionare su due elementi fondamentali: efficienza e rappresentanza. Se non altro perché sono le principali posizioni dei sostenitori.
Occhio a non lasciarsi confondere dalla discussione sulla riforma elettorale. Nel nostro Paese le leggi elettorali sono di rango ordinario, pertanto più facili da modificare in base alle maggioranze parlamentari. Questo referendum è di rango costituzionale pertanto, spostare il dibattito, è davvero cosa poco corretta.
Tralasciando l’aspetto economico, inteso come presunto “risparmio” delle istituzioni, poiché non ci sono cifre certe su cui orientare il dibattito e perché è ovvio che la democrazia ha sempre un costo spesso oneroso, ma non per questo “inutile”.
Più evidenti sono, invece, i cavalli di battaglia dei sostenitori del Sì e di quelli del No. I primi evidenziano nelle proprie tesi che ne gioverebbe l’efficienza del sistema se ci fossero meno parlamentari in rappresentanza di un numero maggiore di cittadini, come se questi avessero una
sorta di “peso” maggiore. I promotori del No, invece, battono principalmente sul concetto di rappresentanza, evidenziando come un parlamentare troverebbe maggior scollamento con i territori dovendo rappresentare macro aree molto più grandi di quelle attuali.
A dire il vero, il concetto di efficienza istituzionale passa dalla qualità dei singoli deputati e senatori, nonché dai partiti che in una democrazia rappresentativa sono il mezzo per arrivare al governo del Paese. D’altro canto, è altrettanto vero che la rappresentanza in senso stretto passa dalla legge elettorale che ha il compito di organizzarla.
Insomma, se il referendum sul taglio dei parlamentari è importante sia perché va a modificare la Costituzione sia perché pone questioni annose su una riforma organica della Parte Seconda che ancora non arriva, va detto che manca una legge sui partiti che li obblighi, democraticamente, a regolamentarsi e a formare la classe dirigente; così come servirebbe un dibattito “risolutivo” su un sistema elettorale che venga inserito in Costituzione o che sia trasversale tra le varie elezioni locali, regionali e nazionali.
Infine, ma non da ultimo, un passaggio sul tema “risparmio” che, ahinoi, rimane di attualità. In libri cult degli anni 2000 sono emersi tutti gli sprechi e i privilegi (anche di carattere economico) di onorevoli (non solo parlamentari). Forse, prima di tagliare gli stipendi – che, va ricordato, vengono dati a coloro ai quali noi chiediamo di occuparsi della nostra vita e della società in alcuni casi anche 24 ore su 24 e sette giorni su sette – bisognerebbe tagliare i privilegi.
Pertanto, per il 20-21 settembre prossimo, la speranza è che si manifesti un voto consapevole. Come spesso accade in politica, dopo ogni atto formale, le conseguenze ci sono sempre e, per questo, non va mai fatta mancare la propria voce, o in un questo caso, il proprio voto.
Personalmente, più che una riduzione dei parlamentari, sarebbe stata più funzionale ad esempio una ripartizione di competenze tra i rami del Parlamento, ad esempio un taglio più regionalistico da parte del Senato, altre competenze normative da parte dei Deputati, per agevolare gli iter parlamentari, ma questo era uno delle proposte della proposta di legeg di Rezi, se ricordo bene