di Vincenzo Parisella
Il termine Flat tax è diventato, ormai, uno di quei vocaboli economici che sentiamo sempre più spesso nella nostra quotidianità. Ne parlano i telegiornali nazionali, le testate giornalistiche ed è uno degli argomenti caldi toccati dai talk show televisivi. Cavallo di battaglia della Lega durante l’ultima campagna elettorale, prima, e punto cardine del contratto di governo tra Movimento 5 stelle e il partito di Matteo Salvini, poi, la riforma fiscale è uno degli argomenti che sta scaldando il dibattito politico.
Per i meno esperti, la Flat tax, letteralmente “tassa piatta”, indica un sistema fiscale non progressivo in cui si applica una sola aliquota indipendentemente dal livello di reddito raggiunto dai singoli contribuenti. Generalmente, questo sistema fiscale, ha caratterizzato i paesi dell’Est Europa come ad esempio l’Estonia, la Lettonia, e la Lituania che hanno introdotto l’aliquota unica a patire dalla metà degli anni Novanta.
Ad oggi hanno introdotto questo sistema anche Romania, Macedonia, Bulgaria, Repubblica Ceca e Russia, quest’ultima, tra i paesi appena citati, rappresenta sicuramente quello più sviluppato economicamente. Tornando alla politica italiana, fino ad ora non si è arrivati a nessuna proposta concreta da parte dell’Esecutivo, ma in questi mesi gli esponenti della maggioranza hanno spesso parlato di numeri, a partire dal costo della riforma che dovrebbe essere di circa cinquanta miliardi. In questo articolo, quindi, ci baseremo sull’insieme delle proposte ascoltate nell’ultimo periodo e sulle esternazioni dei rappresentati politici della maggioranza.
Andando con ordine, però, il primo punto da analizzare riguarda la costituzionalità della riforma in quanto l’articolo 53 della Costituzione afferma che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario si basa su criteri di progressività. Quindi il primo scoglio da superare è quello della Corte Costituzionale che potrebbe dichiarare incostituzionale la riforma. Per garantire la progressività, i responsabili economici della maggioranza hanno pensato all’introduzione di una Dual tax con due scaglioni così distribuiti: aliquota del 15% per redditi fino a ottanta mila euro e un’aliquota del 20% per redditi superiori a ottanta mila euro. La base imponibile, in questo caso, sarebbe costituita dal reddito totale familiare e non da quello individuale come per l’attuale Irpef.
Inoltre, la progressività sarebbe perseguita sia grazie ad una deduzione di tremila euro che va moltiplicata per il numero dei componenti del nucleo familiare che grazie ad una no-tax area ancora da definire. Una riforma così complessa pone soprattutto due questioni centrali: chi beneficerà maggiormente della riduzione di imposta? La riduzione di gettito produrrà conseguenze sulla spesa pubblica? Con riferimento alla prima questione, secondo studi fatti dal blog economico “lavoce.info”, la riforma fiscale porterebbe il 65% del risparmio totale nelle tasche dei contribuenti che hanno un reddito superiore ai sessanta mila euro. Tale conclusione è facilmente individuabile analizzando la tabella riportata di seguito.
Fonte: lavoce.info
Per quanto riguarda le conseguenze sulla spesa pubblica, i costi della riforma sono stimati in circa cinquanta miliardi di euro, ed è evidente che si tratta di cifre del tutto incompatibili con l’attuale situazione dei conti pubblici che vedono crescere il debito pubblico italiano in maniera vertiginosa.
Il tema delle coperture resta quindi prioritario. È proprio sotto questo aspetto che la maggioranza sta facendo più fatica in quanto le opzioni sono molte ma non tutte sembrano percorribili.
Analizzando l’aspetto delle coperture economiche, poiché si tratta di una perdita permanente di gettito, andranno utilizzate sicuramente misure strutturali.
Nel contratto di governo, ad esempio, si fa menzione della “pace fiscale” che porterebbe nelle casse dello Stato, entrate che però rappresentano incassi una tantum che quindi non possono andare a coprire perdite permanenti di gettito. Tra le possibili coperture si potrebbe pensare anche ad un autofinanziamento della Dual tax, che verrebbe fuori grazie alla spinta sul PIL attesa dalla forte spinta ai consumi indotta dal risparmio di imposta. In questo caso però sarebbe rischioso finanziare una riforma del genere non avendo stime precise sull’impatto reale che la Dual tax avrebbe sul PIL.
La strada più consona, molto probabilmente, è quella del finanziamento della riforma tributaria attraverso contestuali tagli alla spesa.
Sulla carta questa è l’opzione più facile da percorrere anche se il taglio alla spesa dovrebbe essere così grande da avere ripercussioni negative che potrebbero portare nella peggiore delle ipotesi ad una recessione pari a quella causata da un aumento dell’IVA. Inoltre, sempre su questo punto, ulteriori tagli a settori come sanità, istruzione e sicurezza farebbero diminuire ancora di più l’efficienza e la qualità dei servizi prestati alla collettività.
Se poi, a tutte queste criticità, aggiungiamo anche i paletti economici fissati dai Trattati europei, ci rimane davvero difficile immaginare una possibile riforma fiscale di queste dimensioni.
Fonti:
• Il Sole 24 Ore
• Lavoce.info
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One Reply to “Flat tax: promessa elettorale o realtà?”
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Secondo me bisogna distinguere il discorso flat tax con quello della riduzione delle tasse, non è detto che una riduzione delle tasse non possa essere effettuata con la proporzionalità dell’imposta, riducendo ad esempio del 1% al’iquota più bassa e in proporzione alle aliquote più alte, corrisponderebbe alla teoria secondo cui con una pressione fiscale più bassa corrisponderebbe un incremento delle entrate(con uno spazio maggiore di un commento, gente versata in economia e scienza delle finanze spiegherebbe che tale ipotesi è molto arbitraria), anzi i fatti dimostrano che i ricchi meno pagano, meno voglioo pagare vedi il contenzioso con Amazon o con Facebook. Non bisogna dmenticare una cosa poi, il totale delle tasse è dato dalle imposte dirette e indirette, con la flat tax incidiamo solo sulle dirette, quelle indirette colpiscono maggiormente i ceti più bassi. Mettiamo il caso le tasse sui carburanti, la percentuale di tassazione colpisce maggiormente chi hauna utilitaria, rispetto chi può permetteri macchine da centinaia di milioni di euro, senza dimenticare il costo del trasporto merci che incide sui beni di prima necessità