di Giorgio di Perna
Se dovessi chiedere a un giovane chi sono i poveri, sono certo che come risposta riceverei una tra queste: gli anziani, i padri di famiglia rimasti senza lavoro, i clochard e, in casi eccezionali, verrebbero citati anche gli immigrati. Senza dubbio riceverei una risposta giusta, ma allo stesso tempo incompleta.
Un dato sorprendente emerge dal recente “Rapporto 2017 sulle politiche contro la povertà in Italia” di Caritas Italiana, sul quale, in primis la classe politica, dovrebbe porre lo sguardo: l’aumento della povertà giovanile. Un fenomeno che sta per estinguersi nella maggioranza degli stati europei, nel nostro Paese è in costante aumento. Ma chi sono i giovani poveri? Coloro che non investono nell’educazione, che non possono permettersi una vacanza e che hanno scarse possibilità di trovare un lavoro o, nella più rosea delle aspettative (quando riescono a trovarlo) il salario è di gran lunga più basso rispetto a quello delle generazioni che li hanno preceduti. Questo è il principale fattore che contribuisce alla penalizzazione dei progetti di vita che oggi sono incerti e hanno tappe più diradate nel tempo rispetto al passato.
Quale potrebbe essere una via di uscita da questa impasse? Sicuramente, nel dizionario della politica italiana, bisogna eliminare il termine indifferenza e sostituirlo con il termine concretezza. In altri Paesi d’Europa, come ad esempio la Svezia, ciò è stato fatto con successo: sono state introdotte misure specifiche per incoraggiare i giovani allo studio e incrementare opportunità di lavoro di qualità e con salari equi.
Ma nel piccolo, cosa è possibile fare? Continuare a studiare, a informarsi e formarsi, a creare rete – mettendo in circolo le proprie idee – con l’obiettivo di essere i protagonisti e gli artefici del proprio futuro. Impegno, passione e dedizione: tre importanti talenti, certamente non gli unici, da mettere in campo per realizzare i propri progetti di vita.