di Simone Nardone
Quando gli interessi di pochi minano la stabilità di un sistema, si è di fronte ad una rivoluzione oligarchica
All’inizio della pandemia ci eravamo chiesti se i sistemi di potere avessero retto allo tsunami sanitario prima ed economico e sociale poi. Il mondo del calcio ci ha dato una prima risposta.
Quanto accaduto negli scorsi giorni è ormai di dominio pubblico, tutti sanno del progetto lanciato, e precipitato (per il momento) rispondente al nome di Superlega. Un vero tentativo, da parte di 12 club di calcio di tre Paesi europei, di cambiare le carte in tavola e di gestire in autonomia un torneo continentale.
I club più titolati d’Europa – e, dettaglio non trascurabile, alcuni dei più ricchi – avevano deciso di dar vita ad una nuova competizione infrasettimanale, salutando la Champions League e trasformando la Superlega nella competizione principe del calcio infrasettimanale.
L’obiettivo era chiaro: far nascere il torneo dei più forti, ma non sul campo bensì sulla carta, infatti i club fondatori avevano diritto di competere vita natural durante. Un vero e proprio tentativo delle élite di imporre un dominio, indicando implicitamente anche la dinamica della gestione del potere: un’oligarchia economico-sportiva.
Una strategia inquietante, che è arrivata addirittura a teorizzare la privatizzazione di un torneo, trasformandolo ad uso e consumo proprio, cercando addirittura di creare un mercato in cui la combriccola dei club fondatori della Superlega avrebbe avuto la gestione dell’oligopolio del futuro calcistico del vecchio continente.
La proposta è fortunatamente naufragata per via dei passi indietro di ben sei società, tutte inglesi, a seguito delle proteste dei tifosi, e più in generale di gran parte del movimento calcistico, che hanno man mano fatto sfilare tutti. Ma potrebbe essere qualcosa a cui dovremo abituarci.
Mentre osservavamo le conseguenze della crisi sanitaria e sociale, forse, non abbiamo tenuto in considerazione proprio le élite, anch’esse colpite dalla crisi economica che adesso potrebbero essere pronte alle loro di rivoluzioni. Con la scusa della pandemia, infatti, alcuni sistemi di potere, come è accaduto nel calcio, potrebbero mettere in campo progetti che, nei fatti, si manifestano come oligarchici.
La cosa che ha fatto più paura nel progetto di creazione di una “Superlega” è stato il meccanismo: quando le élite, i ricchi, i potenti, non trovano più giovamento, guadagno, o non condividono i fini di un percorso del sistema in questione, prendono e si portano via la palla. Si tratta di un progetto che ha realmente rischiato di minare la solidità delle istituzioni sportive.
l problema è la fragilità dei sistemi che consideriamo stabili. Non solo fragili perché attaccabili economicamente dalle élite, ma anche deboli nella propria struttura. Se si analizzano i dati del calcio-gate dei giorni passati, infatti, notiamo con incredibile preoccupazione che persino gli strumenti in seno agli enti preposti avrebbero rischiato di essere inutili ad evitare lo strappo.
Contro questa tipologia di attacchi, definiti addirittura da molti come un “golpe”, bisogna difendersi. E anche qui non è facile capire in che modo è possibile intervenire se non rifacendosi al senso più profondo di democrazia. La democrazia infatti, oltre ad essere letteralmente considerata il sistema di governo “del popolo”, è anche legittimata dal popolo. Lo stesso popolo che un po’ ovunque, non solo in Inghilterra, si è fatto sentire ed è riuscito a far crollare quello che non era un semplice castello di carte, ma un piano molto articolato e ben definito.
Una minaccia come quella della Super Lega, o Lega dei super-club, rappresenta, molto probabilmente, qualcosa con cui dovremo abituarci a fare i conti, se vogliamo essere pronti ad intervenire e a resistere alle rivoluzioni delle élite, che nient’altro sono che l’opposto di quelle popolari.