L’Europa e il vaccino contro l’austerity

di Gianmarco di Manno

La crisi pandemica è divenuta economica quindi sociale. Stavolta, però, l’Europa sembra aver dimostrato una certa capacità di reazione, facendo tesoro della crisi del 2008.

Sembrano lontani i tempi delle proteste dei popoli europei, vittime di una visione rivelatasi totalmente distorta, da parte dei vari governi, secondo la quale un elevato debito pubblico penalizza la crescita. Ecco, allora, gli investimenti pubblici bloccati dalla interpretazione rigida dei parametri di Maastricht, una politica monetaria che ha sopravvalutato il cambio a scapito degli esportatori, i crediti di favore alle banche che non hanno fatto rifluire il denaro verso l’economia reale. Esattamente il contrario di quanto avveniva, già dal 2009, negli USA: il presidente della Fed, Ben Bernanke, faceva stampare moneta in quantità enormi e la banca centrale americana ha puntato a schiacciare sotto il 5% la disoccupazione, favorendo la crescita del PIL e delle borse.

Ci è entrato in testa un concetto chiaro: l’unico modo per ripartire è dare ai lavoratori e al ceto medio la possibilità di spendere, come hanno fatto, negli anni, Usa, Cina, Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Indonesia. Oggi, a livello comunitario, abbiamo alle porte una stagione di forti aiuti economici che, di pari passo con altre scelte strategiche (ad esempio l’acquisto centralizzato dei primi vaccini e l’inizio della somministrazione lo stesso giorno per tutti i Paesi dell’Unione), aiutano certamente a rafforzare l’immagine dell’Unione Europea non solo come istituzione economica, ma anche e soprattutto politica.

Il principale punto di svolta è rappresentato dalla decisione di emettere titoli di debito europeo da parte della Commissione in quantità significativa, partita nella quale l’Italia ha svolto un ruolo fondamentale. La Commissione diventa il principale emittente sovranazionale a livello globale, affiancandosi all’azione della Banca europea per gli investimenti (Bei), che ha messo a disposizione un fondo di garanzia pan-europeo da 200 miliardi, e del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che ha dedicato una linea di credito specifica per sostenere con prestiti spese sanitarie dirette e indirette, per un totale di 240 miliardi di euro.

In effetti, i recenti programmi europei nati in risposta al Covid per dare sostegno sia ai lavoratori (SURE 27 dei 100 mld all’Italia) sia alle economie nazionali più colpite (Next Generation EU – NGEU 209 dei 750 mld all’Italia) si finanzieranno attraverso nuovo debito comune, per un totale di 850 miliardi di euro spalmati tra il 2020 e il 2024.  Il tutto in coordinamento con il programma di acquisto di titoli della Bce (il quantitative easing pandemico da 1.350 miliardi di euro), che contribuisce a mantenere calmi i mercati e permette ai governi di beneficiare di tassi molto bassi sul proprio debito.

Ora il campo sul quale si gioca la partita è interamente quello della progettualità e, come Italia, abbiamo dato prova negli scorsi anni di non essere all’altezza della sfida: a prescindere dalla moneta unica e dal miope rigore comunitario, siamo andati peggio degli altri, sintomo che c’è qualcosa che non va anche (soprattutto?) nella storia del nostro Paese, vittima di una certa continuità del corporativismo di origine fascista oppure di istituzioni economiche non adeguate al secolo che stiamo vivendo o, ancora, di élite politiche ed economiche che non sono consapevoli delle sfide da affrontare.

Mamma Europa e nonna Italia hanno delle corresponsabilità che devono scrollarsi di dosso; in caso contrario il prezzo più alto continuerà ad essere la mancanza di lavoro, lo scoraggiamento nel cercarlo e la sua precarizzazione. E, poi, la flessibilità: quella che produce disuguaglianze profonde e costi personali e sociali considerevoli, che comporta percorsi formativi iniziati e interrotti, rapporti familiari instabili, fatica fisica e nervosa per il continuo riadattamento a un nuovo contesto. Ma ancor più costa alla persona, per la sensazione rinnovata ogni giorno che la propria esistenza dipenda da altri. Costa la certezza amara che non è possibile guidare la propria vita come si vorrebbe, o come si pensa d’aver diritto di fare. Costa la comprensione che la libertà è, alla prova dei fatti, una parola priva di senso.

Fonti
La trappola dell’austerity. Perché l’ideologia del rigore blocca la ripresa, Federico Rampini, Laterza 2014.
Vite rinviate Lo scandalo del lavoro precario, Luciano Gallino, Laterza 2014.Consiglio dell’Unione europea www.consilium.europa.euCommissione europea ec.europa.eu 
www.ilsole24ore.com

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