di Giorgio di Perna

La cena è pronta, la tavola è apparecchiata con tovaglia e addobbi rossi, i calici brillano e le bottiglie di vino cercano solo il momento propizio per essere stappate. Alle 20:30 dalla televisione proviene il suono dell’Inno di Mameli, per l’occasione utilizzato come sigla. Dopo pochissimi istanti appare lui, il Presidente, e cala il silenzio. I bambini continuano a giocare, ma non urlano più, e il volume della tv sale.

Il discorso con cui il Presidente della Repubblica si rivolge ai cittadini fornendo una sorta di consuntivo dei traguardi politici, sociali ed economici raggiunti nell’anno appena trascorso e lancia i propositi per l’anno successivo, nelle case di molti italiani, è sempre stato una tradizione importante, una sorta di preghiera laica e un momento di alta cultura politica.

Sì! Perché, può piacere o meno, ma “il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale” (art. 87 Costituzione, Comma 1): è una sorta di primo cittadino italiano. Anche per questo, probabilmente, il Messaggio di fine anno ha sempre suscitato molte polemiche. Quasi in contemporanea – grazie ai potenti mezzi del web e dei social – politici, cittadini e leoni da tastiera iniziano a commentare le parole del Presidente. Ci sono alcuni esponenti politici-non politici, inoltre, che organizzano il Contro-messaggio di fine anno, semplicemente per screditare; c’è anche chi si indigna perché delle dichiarazioni del Presidente della Repubblica vanno in onda sulla televisione di Stato e quindi cerca di fare zapping, non sapendo magari che su tutte le reti va in onda il Messaggio.

Una storia che va avanti da ben 71 anni. Era il 31 dicembre del ’49, infatti, quando Luigi Einaudi su Rai Uno pronunciò un semplice messaggio, stile tweet con 188 parole: “Nel rigoglio di intimi affetti suscitato da questa trasmissione mi è caro interpretare con la mia parola il fervore di sentimenti…”. Fu il suo successore Giovanni Gronchi a trasformare l’appuntamento di San Silvestro in un vero e proprio discorso, in cui il Presidente ripercorre l’anno che si chiude, tenta di spiegare alcune questioni, parla dei problemi che ritiene più importanti, a volte anticipa ciò che dovrà succedere. Il più schietto, anche nel linguaggio, fu Sandro Pertini, al quale toccò un difficile messaggio: quello del ‘78, il suo primo da Presidente, anno dell’assassinio dell’on. Aldo Moro. Tantissime polemiche sono state suscitate dai discorsi di Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano che, in due differenti epoche, sono stati molto duri con la classe politica e, non a caso, furono spesso presi di mira dai ‘supporters’ dei governanti dell’epoca. Non solo polemiche, ma anche applausi e condivisioni: sono i casi di Carlo Azeglio Ciampi e Sergio Mattarella, che hanno sempre pronunciato  parole equilibrate e lanciato accorate esortazioni ai cittadini ad avere fiducia nelle capacità dell’Italia di progredire e di fronteggiare le grandi sfide. La bella politica e la buona cultura politica parte anche dall’ascolto partecipato di queste  tradizioni.

Sarebbe bello, allora, fare un semplice esercizio: il 31 dicembre, alle 20:30, quando dalla televisione proviene il suono dell’Inno di Mameli e appare il Presidente, ascoltiamo le sue parole ed evitiamo di tweettare. Nei giorni seguenti potremmo rileggere  il testo del Messaggio e tornare a confrontarci civilmente sui temi.

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