COVID-19 E MONDO DEL LAVORO: LA DURA SFIDA DEI NEET

di Simone D’Adamo

“…fondata sul lavoro”. Si conclude in questo modo il primo comma dell’art. 1 della Costituzione Italiana. Da anni assistiamo a vere e proprie sfide politiche, etiche e culturali sul tema del lavoro, della sua dignità e, soprattutto, dell’occupazione giovanile. Tuttavia, stando ai dati statistici, non si vedono ancora all’orizzonte risultati soddisfacenti. 

Nel Vecchio Continente è l’Italia che vanta il maggior numero di giovani NEET (Not in Education, Employment, Training), con una percentuale che va oltre il 28% di donne e uomini tra i 20 e 34 anni, contro la media europea che si aggira al 16,5% (fonte EUROSTAT marzo 2020). Un’occupazione dignitosa rappresenta, da sempre, una sfida ardua per i giovani, soprattutto nei periodi di crisi.  

In questo turbolento 2020, con l’emergenza sanitaria e sociale dovuta alla diffusione del Covid-19, diverse sono le ragioni per cui i giovani “aspiranti lavoratori” fanno fatica a trovare un’occupazione: 

•  i giovani imprenditori sono, di solito, i primi a subire la recessione rispetto ai loro colleghi più anziani ed esperti. La mancanza di rete ed esperienza può rappresentare un’enorme difficoltà nel trovare una nuova occupazione, inoltre, in un periodo emergenziale come questo, risulta ancora più complicato trovare risorse e finanziamenti; 

• la gran parte dei giovani ha un’occupazione poco remunerata che non le permette di avere dei risparmi ed essere indipendente; 

•  molti di loro hanno contratti part-time, temporanei o “ad ingaggio”, spesso poco retribuiti, con orari irregolari, con poca sicurezza sul luogo di lavoro e previdenza sociale carente o nulla. Tali tipologie di contratti, il più delle volte, non prevedono alcuna indennità di disoccupazione; 

•  i settori e le industrie più vulnerabili alla pandemia da Covid-19 (esempio turismo, ristorazione, automobilistico, manifatturiero ed edilizia) sono quelli in cui lavorano più giovani; 

•  i giovani, rispetto ad altre fasce di età, sono più esposti al rischio di perdere il lavoro a causa della crescente diffusione dell’automazione in diversi settori e industrie. 

Con lo smartworking – che, tuttavia, in molti casi è soltanto telelavoro, (cosa estremamente differente) – è emersa l’importanza di avere delle competenze digitali e delle life skills, due fattori fondamentali per lo sviluppo delle aziende e il miglioramento generale dell’ambiente di lavoro. Competenze di cui i giovani sono, e devono esserne, portatori sani. L’inserimento delle nuove generazioni nel mondo del lavoro, contemporaneamente all’introduzione delle nuove tecnologie, da un punto di vista antropologico, deve poter consentire una buona convivenza della digitalizzazione con la valorizzazione del capitale umano. 

Per superare questo andamento negativo – che rischia di aumentare vertiginosamente con l’impatto della convivenza prolungata con il virus – è basilare investire su coerenti politiche attivanti e abilitanti, e sulla scuola, da sempre “strumento” in grado di favorire il riscatto e la mobilità sociale, per aiutare i giovani nella costruzione e valorizzazione del proprio capitale sociale e umano, valore aggiunto del proprio stare e agire con successo nel mondo.

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