Lavoratori immigrati, la tortuosa strada per la regolarizzazione

Nel cosiddetto “decreto rilancio“, che contiene decine di nuove misure per sostenere l’economia dopo il picco della pandemia da coronavirus, il governo ha inserito anche una procedura per regolarizzare una parte degli immigrati irregolari che vivono in Italia. La misura, come spiega un dettagliato articolo de ilpost.it, era attesa da tempo dagli esperti di immigrazione e integrazione, e secondo stime informali del ministero dell’Interno potrebbe interessare circa 200mila persone nei settori di agricoltura e allevamento, assistenza agli anziani e cura della casa.

È una misura che, in particolare, interessa moltissime persone che lavorano stabilmente come colf, badanti o braccianti agricoli. La condizione di quest’ultimi è particolarmente disumana: non hanno diritti né assistenza sanitaria, lavorano spesso sotto il ricatto della violenza, non versano contributi e se sono irregolari non possono allontanarsi dai cosiddetti “ghetti” in cui vivono per paura di essere scoperti e ricevere un decreto di espulsione. Secondo una stima del ministero dell’Agricoltura, i braccianti non in regola che vivono in Italia sono circa 150mila.

Inoltre possono avviare l’iter per ottenere la regolarizzazione anche gli stranieri irregolari che hanno lavorato in passato in uno dei tre settori previsti dal decreto e sono in possesso di un permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019 in poi. A questa categoria di persone il governo concede un permesso temporaneo di sei mesi per cercare lavoro: se lo troveranno, il permesso temporaneo può essere convertito in un regolare permesso di soggiorno.

Il nostro territorio, a fortissima vocazione agricola, è periodicamente meta di immigrati stagionali che si riversano nelle nostre campagne e ci permettono (spesso a basso costo) di avere a tavola frutta e verdura. La norma, quindi, tocca anche la terra pontina.

Il provvedimento è nato pensando a chi ha subito danni dall’emergenza covid, ma potrebbero trarne godimento quegli invisibili messi così bene in luce da Aboubakar Soumahoro.

O almeno una parte. Perchè restano non pochi dubbi sull’efficacia della norma.

Avere la possibilità di regolarizzare un lavoratore in nero non significa volerlo regolarizzare. D’altronde economicamente non conviene: scarso potere contrattuale, zero diritti sindacali, zero tasse.

Dopodiché stiamo parlando di una regolarizzazione molto parziale e molto settoriale. Ci sono intere categorie di lavoratori stranieri irregolari che sono stati esclusi dal decreto: il settore della logistica, dell’artigianato, dell’edilizia, delle consegne, delle piattaforme digitali.

Ancora. Occorrono penetranti controlli dell’Ispettorato del lavoro, bisogna fronteggiare il tema del trasporto dei lavoratori e la piaga di alloggi fatiscenti a prezzi sproporzionati, non si deve mollare la presa su alcune cruciali richieste sindacali sindacali su punti cruciali e quella delle battaglie politiche sul fronte dei decreti insicurezza.

Lo dobbiamo a Jerry MassloSoumaila SackoBecky MosesPaola Clemente.

Lo dobbiamo a noi.

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