L’importanza della memoria ai tempi della quarantena

di Giorgio di Perna (Obiettivo Comune) e Vito Saracino (Fondazione Gramsci di Puglia)

Chi lo avrebbe mai detto che dovesse arrivare una pandemia per far tornare al centro del dibattito pubblico il concetto di solidarietà. Dall’inizio di questo particolare e complicato tempo i media trasmettono parole, riflessioni e immagini che spesso, non sempre purtroppo, trasmettono quel senso di umanità e solidarietà di cui c’è bisogno quotidianamente e che troppo spesso viene messo da parte. Per l’enciclopedia Treccani, l’umanità è quel “sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini: una persona piena di umanità”. Vorremmo riflettere, allora, su un’immagine che ci ha colpito molto in questi giorni e, viste le innumerevoli condivisioni sui social, è entrata nel cuore di tutti gli italiani.

Sabato scorso – alla partenza dei trenta medici ed infermieri – il premier albanese Edi Rama ha tenuto una lezione di concreta umanità e solidarietà rivolta in particolar modo a quelli che ha chiamato “Paesi ricchissimi” e a quell’Unione europea con cui l’Albania ha avviato i negoziati di adesione. Una lezione che ha sortito l’effetto di un canestro messo a segno dal “cestista” Rama proprio sul suono della sirena. E da buon cestista, infatti, il premier albanese ha voluto ricordare l’importanza del gioco di squadra: “Laggiù è oramai casa nostra da quando l’Italia e le nostre sorelle e fratelli italiani ci hanno salvati, ospitati e adottati in casa loro quando l’Albania versava in dolori immensi”. È fondamentale, tuttavia, capire anche cosa c’è dietro le forti parole del presidente Rama e di tutta la comunità albanese.

Sono circa 17mila gli albanesi partiti da Durazzo a bordo della Nave Vlöra e arrivati al porto di Bari l’8 agosto del 1991. A questo fondamentale evento dell’Europa post caduta del Muro è dedicato il lungometraggio Anija- La Nave di Roland Sejko vincitore del David di Donatello 2013 come miglior documentario.

La narrazione dell’accoglienza o meglio delle accoglienze riservate agli albanesi in Italia è forse più forte dell’accoglienza stessa riservata alla comunità shipetara in Italia. Il primo silenzioso arrivo degli albanesi in Italia è datato 1990, data dell’implosione del regime totalitario albanese. In quell’occasione, da Brindisi, iniziò una prima campagna di accoglienza facilitata dallo status di rifugiato che ha coinvolto l’Italia Migliore (le comunità, le istituzioni e le associazioni laiche e cattoliche). È rimasta nell’immaginario italiano l’arrivo degli innumerevoli albanesi a bordo della nave Vlöra nel porto di Bari nell’agosto del 1991, a tal punto di diventare il centro di una campagna pubblicitaria di dubbio gusto da parte di Oliviero Toscani. In pochi, però, ricordano che il sindaco di Bari Dalfino venne apostrofato con parole forti dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga per aver “disobbedito” e permesso l’approdo della nave. Dopo giorni di isolamento, che tanto ricordano la nostra epoca, la maggior parte di quella “folla nata a Durazzo” come la definisce Rando Devole, venne rimpatriata in Albania per via degli accordi italo-albanesi, in quanto l’Albania nel frattempo era diventata una Repubblica.

Una storia di amore e frizioni che continua nel 1997, durante la cosiddetta Crisi delle Piramidi, quando il neocapitalismo ha falcidiato la neonata economia albanese riportando la situazione al degrado e allo stallo precedente. Di nuovo le “folle” albanesi cercavano con tutti i mezzi l’approdo verso l’Italia, simbolo di quel sogno europeo ma spesso incapace di trovare risposte adeguate alle situazioni. Il venerdì santo del 1997, la Kadër i Rades, venne speronata dalla marina italiana causando ottantuno morti e all’incirca 25 dispersi lasciando un segno indelebile nell’immaginario albanese. Ferita mai rimarginata completamente e analizzata magistralmente dal compianto Alessandro Leogrande in “La Frontiera” entrando in punta di piedi nel contesto albanese e conoscendo i sopravvissuti e le loro storie che si intersecano nell’amarezza della Storia internazionale.

Al compianto ricercatore Alessandro Leogrande, il comune di Tirana grato per il lavoro svolto per riscoprire i retroscena del “viaggio” Italia-Albania ha dedicato una strada nel grande parco cittadino.

L’Italia ha sì accolto gli albanesi, ma non era preparata a diventare terra di immigrazione dopo essere stata terra di emigrazione. La demonizzazione dei media sulla figura dell’ “albanese ladro e violento” ha, infatti, caratterizzato le cronache degli anni novanta e primi duemila: ricordiamo le accuse alla comunità albanese per la strage di Novi Ligure, il brand “sono stati gli albanesi” spesso ripetuto fin quando la paura si è spostata verso nuove esperienze migranti e verso il cosiddetto “Uomo Nero”, come direbbe Dario Brunori.

Ma gli albanesi, nonostante questo contrastato sentimento da parte degli italiani, si sono dati da fare e sono riusciti a diventare oggi una radicata comunità, acquisendo diritti e “cittadinanze” nel loro nuovo stato, come dimostrano le parole di Edi Rama di ieri e l’inchiesta di Albania News sul numero di cittadini albanesi partecipanti alle scorse elezioni amministrative. Con il duro lavoro e la voglia di partecipazione l’integrazione è possibile anche con qualche porta in faccia.

*Immagine di copertina: Edi Rama, artista contemporaneo, giornalista e politico, attuale premier albanese dal 2013. Già sindaco di Tirana dal 2000 al 2011, famoso per aver trasformato la grigia capitale nella “città colorata”, è impegnato da anni nel tentativo di inserire l’Albania nell’allaegamento dell’ Unione Europea

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