Non proprio una buona scuola

di Simone D’Adamo Dei circa 50mila gli iscritti o laureati al corso di studio universitario in Scienze dell’educazione, la maggior parte sono ragazze che puntano ad esercitare la propria professione negli asili nido. Un sogno che vedono sfumare a causa della cosiddetta Buona Scuola, in particolare del decreto attuativo che prevede l’integrazione di un sistema del settore educativo da zero a sei anni, per coloro che vogliono intraprendere tale carriera. Con la nuova regola norma, contenuta nel decreto attuativo 65 del 2017 della Buona Scuola, per poter essere assunti nei nidi, diventa obbligatorio possedere una laurea nell’indirizzo “Servizi per la prima infanzia”. Diverse le problematiche che emergono da tale provvedimento: sono molti i problemi che ne emergono, vediamone alcuni. Innanzitutto ben 50mila persone, che per anni si sono formate e hanno pagato le esose tasse universitarie, rischiano di veder frantumato il proprio sogno: un numero non di poco conto, insomma, che ha scatenato le proteste di neo-educatrici e neo-educatori. Il secondo problema è l’elevato numero dei disoccupati che tale provvedimento causerà. Già attualmente non sono molti gli asili nidi in Italia. Secondo alcuni dati riportati su “Il Messaggero”  del 7 giugno 2018, infatti, sono 300mila i bambini che in tutta Italia frequentano un asilo nido: decisamente pochi rispetto alla copertura che dovrebbe raggiungere secondo il Trattato di Lisbona. Altro problema è la totale mancanza dell’indirizzo universitario negli atenei: come può una persona avere la possibilità di poter essere assunta in un asilo nido se il corso richiesto dalla riforma ancora non esiste? Sì, ci sono alcune università che si stanno attrezzando per offrire il corso “Servizi per la prima infanzia”, ma non è detto che tali nuovi corsi possano rispondere appieno ai criteri richiesti dal MIUR prolungando la complicazione anche per i futuri immatricolati. L’ultimo problema riguarda il paradosso per coloro che frequenteranno il nuovo indirizzo, in quanto, con tale titolo, non solo potrà lavorare nei nidi ma anche nei centri di recupero per tossicodipendenti o nei centri per anziani: il corso di laurea, insomma, risulterebbe generico al pari di “Scienze dell’educazione”. Da quanto detto si nota una falla importante, alla quale il nuovo ministro dell’istruzione Marco Bussetti dovrà rimediare al più presto. In realtà basterebbe lasciare Scienze dell’educazione come titolo per poter lavorare negli asili nido fino a quando il MIUR e le università non avranno chiarito, minuziosamente, la sostituzione (e non l’aggiunta) del corso universitario in “Servizi per la prima infanzia”: una soluzione tanto semplice quanto complicata, vista l’inesperienza nazionale nella gestione e attuazione pedagogica-didattica della scuola italiana. Tenendo in considerazione tutti questi fattori, è inevitabile il dissenso che si è venuto a creare in questo periodo tra gli universitari di tutta Italia. Un tema caldo, che si va ad aggiungere nel pentolone della riforma scolastica che puntualmente viene accantonato per dare spazio ad altre problematiche. Un grave errore che i nuovi addetti ai lavori non devono commettere per non cadere nel girone dei fraudolenti.

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