Giuseppe Di Vittorio e l’essenza della memoria

di Vito Saracino Il mai dimenticato scrittore cileno Luis Sepùlveda soleva dire che “L’essenza del popolo è tutta nella memoria“. Professionalmente ho scelto di dedicare la mia vita di giovane studioso proprio alla tutela di questa essenza, quindi  quando nella mia liturgia laica di lettura delle notizie mi sono imbattuto nel ritrovamento di due quadri di Giuseppe Di Vittorio nella spazzatura non nascondo di esser stato preso da un cocente sentimento di amarezza e delusione, visto che tale episodio è successo in pieno Tavoliere delle Puglie, il luogo dove Di Vittorio ha cominciato la sua battaglia in difesa dei “cafoni all’inferno” come erano definiti dall’illuminato professore Tommaso Fiore. Non si tratta di un mero gesto di inconsapevole iconoclastia di un feticcio ma di come persino un faro della politica sindacale italiana e internazionale quale Giuseppe Di Vittorio possa perdere la propria luce in una società che si professa sempre più liquida ma alla quale non devono mancare idee solide e personalità che le rappresentino.  Un gesto che ferisce per di più quest’anno ricorre il sessantennale della morte di questo gigante della storia novecentesca ma la domanda che sorge spontanea è questa: cosa fare?
Nel giorno del sessantesimo anniversario dalla scomparsa di Giuseppe Di Vittorio, Cerignola ritrova uno dei simboli alla memoria di uno degli esponenti più autorevoli del sindacato italiano nel secondo dopoguerra: il murale realizzato agli artisti Ettore de Conciliis e Rocco Falciano. L’opera, intitolata ‘Giuseppe Di Vittorio e la condizione del Mezzogiorno’, è stata riposizionata nel cuore della piazza vicina al piano delle fosse granaie, simbolo della storia bracciantile della città in provincia di Foggia.
Non esistono ricette e slogan in queste circostanze ma ritengo che sia un dovere civico quello di conoscere e far conoscere figure di rilievo come Di Vittorio, unico italiano a dirigere la Federazione Sindacale Mondiale a cui è stata dedicata la fiction Pane e Libertà, che ha  dimostrato come la televisione di stato talvolta si ricorda di svolgere ancora un servizio pubblico ed educativo. Conoscere la storia  non significa guardare il passato con nostalgia o come una fotografia in un album di ricordi ma riuscire a comprendere come quel passato parla al nostro presente e gli spunti che queste storie possono dare al nostro futuro costellato da “co-working“, “stakeholder” e “smart“. L’opera di Giuseppe Di Vittorio è una fonte dalla quale attingere acqua salvifica per diverse ragioni: per il mondo del sindacato innanzitutto che deve essere caratterizzato dall’indipendenza e dalla limpidezza della propria missione, cito le parole dello stesso leader durante il I° Congresso Unitario della Cgil:
Il Sindacato non è l’Unione degli uomini e delle donne della stessa ideologia o della stessa opinione politica ma è l’unione degli uomini e delle donne e dei giovani della stessa professione, della stessa industria, dello stesso mestiere, dello stesso servizio, per la difesa comune di interessi che sono comunque al di fuori di interessi che sono comuni al di sopra e al di fuori delle rispettive ideologie e opinioni religiose.
Da un solo piccolo estratto ritroviamo spunti che trattano temi attuali come la laicità dello stato e dell’uguaglianza dei lavoratori di tutto il mondo, in barba ai razzismi riemergenti in questa nuova era che poi tanto nuova non sembra.  Quando si riflette su “Ius soli sì, Ius solì no” per la nostra “terra dei cachi” inviterei a leggere il pezzo del leader pugliese pubblicato nel 1938 in “La Voce degli Italiani“:
difendendo gli ebrei boigottati, insultati, umiliati, sferzati a sangue dalla furia razzista del regime noi difenderemo il patrimonio di civiltà del popolo italiano.
Di Vittorio parla alla nostra generazione “start up anche nella stesura del Piano del Lavoro del 1949, dando degli imput ancora attuali su energia, agricoltura ed edilizia alle agende politiche ancora da scrivere, sperando che la pianificazione dei programmi politici non passi mai di moda. Potrei continuare per ore come quando in Traispotting i due protagonisti cercano di sedurre una splendida ragazza parlando esclusivamente delle giocate del calciatore George Best nella sua parentesi scozzese dell’Hibernian ma preferisco passare alla pratica, illustrando come tutto questo flusso di pensieri stimolati dalla figura di Giuseppe Di Vittorio abbia influenzato un progetto di ricerca campione che può essere ripetuto nelle tante differenti storie d’Italia. Con il progetto “Memoria dei Lavoratori di Capitanata” da me diretto, la Fondazione Gramsci di Puglia ha cominciato l’opera certosina del Censimento delle Camere del Lavoro della Cgil in Capitanata e degli archivi conservati dai protagonisti della vita sindacale, dai capi lega, dai dirigenti, dagli eredi per tentare di costruire una rete delle memore, che magari in un futuro potranno essere riordinate, riunite e digitalizzate. Un’occasione interessante per rendere fruibile quelle tracce di essenza della nostra storia, figlia delle battaglie dei lavoratori, frammenti che riescono con la loro forza a far sentire quel sapore di terra, di lotta, di mare, di bauxite e di protoindustria.  

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